Dalla Grecia a Napoli: metis e cazzimma
Immaginate di aver fatto un torto a qualcuno, niente di grave, per carità; più che un torto diciamo una furbata, un tiro mancino. Il vinto vorrà chiedervi ragione del vostro atto ma voi con charme e tranquillità gli avete detto “Io sono Nessuno” e quello non saprà come rintracciarvi. Immaginate di non essere voi, ma di essere Ulisse re di Itaca e che il tiro mancino che avete tirato sia l’aver accecato un ciclope, che so: Polifemo! Ebbene se Polifemo non vivesse sull’Isola dei Ciclopi, in una grotta, ma magari a “Fuorigrotta” o ai “Quartieri spagnoli” ebbene, se così fosse, avrebbe tutto il diritto di esclamare “Ij ch cazzim!”. Ebbene sì, Ulisse non è altro che un “cazzimmoso”. Amici di The wam non meridionali non preoccupatevi, a volte è difficile anche per gli autoctoni spiegare questo termine, diciamolo tutti insieme: cazzimma. Iniziamo allora la nostra personale Odissea, dalla Grecia, con la sua Metis a Napoli, con la sua Cazzimma.
Sul versante greco abbiamo la Metis: un tipo di intelligenza pratica e astuta, dai confini morali piuttosto labili, che viene usata in situazioni di incertezza, instabilità e in cui bisogna intervenire con al momento giusto. Napoli ancora profuma di Grecia, e poco importa che la parola “cazzimma” non abbia all’incirca duemila anni di età, è la parola che sussume la definizione poc’anzi data, con qualche sfumatura in più.
Antiloco, Atena, Ulisse, Efesto: quattro cazzimmosi che potrebbero tranquillamente essere scugnizzi pieni di cazzimma, in patria invece erano eroi e dei dotati di Metis.
Antiloco: quando truccare il motorino non basta
Antiloco
compare nell’Iliade, fiero figlio di Nestore, re di Pilo. Ma diciamoci la verità
per quello che combina Antiloco potrebbe tranquillamente far parte di un video
di Liberato e sfrecciare senza casco sul motorino (truccato aggiungeremo noi). Perché
Antiloco è così, ten a cazzimm ed è proprio il padre a trasmettergliela. Menelao,
il cornuto re di Sparta che per riprendersi la moglie scatena una guerra mondiale,
decide che è arrivato il momento di fare una corsa con i carri, i motorini dell’epoca,
anziché cinquanta cavalli, due; così, perché alla fine bisogna pur divertirsi
un po’. Nestore chiama suo figlio a sé e inizia a cantilenare «Per mètis più che per forza eccelle il boscaiolo. È per
la mètis che il
pilota sul mare vinoso guida la rapida nave, a dispetto dei venti. È per la mètis che l’auriga può superare l’auriga». Antiloco,
da bravo figlio…, capisce tutto. Pronti via, si sale sul carro, frustati i
cavalli partono al galoppo, Menelao sta vincendo, ha i cavalli più veloci, ma
Anticolo ha la metis: alla prima
curva, manco fosse Dominic Toretto, fa una specie di manovra killer e supera
Menelao, che quasi s’ammazza. Menelao finita la gara va da Antiloco e gli dice
che beh, insomma, per la sua giovinezza ha fatto qualcosa di avventato,
tradotto: questa è cazzimma.
Insomma cosa ci insegna questo episodio sulla cazzimma? Beh che senza dubbio è un po’ scorretta, insomma, Antiloco
non è che vinca proprio in maniera limpida, ma soprattutto arriva dove la sola forza non basta. Tra l’altro Menelao non si arrabbia,
insomma, sa che Antiloco è stato più furbo di lui, che ha valutato il momento giusto
per improvvisarsi Valentino Rossi ante litteram. La metis, come la cazzimma, si perdona (quasi) sempre. E’ insidiosa, border line. Sembrava tutto
tranquillo e prevedibile e invece è bastata una curva a ribaltare la gara. E’
questione di attimi. Il cazzimmoso sa
sempre qual è l’attimo giusto.
Atena: quando si dice avere un santo in paradiso
Una cosa va detta, non facciamo i furbi: nell’antica Grecia il concetto di raccomandazione era abbastanza labile. Insomma Antiloco sarà stato anche bravo, astuto e tutto il resto, ma se ha potuto fare quello che ha fatto lo deve ad Atena. Lei è la dea protettrice degli uomini dotati di metis, se Atena è dalla parte di un uomo allora nessuno scippo (sì, lo scippatore è un uomo dotato di metis), nessun mezzo imbroglio e nessuna risposta sagace gli è preclusa. Atena è la dea della metis, anzi è figlia della dea Metis. Brutta storia quella della mamma di Atena, Metis appunto. Prima moglie di Zeus viene mangiata dal marito quando era incinta di Atena: una profezia aveva predetto al padre degli dei che se fosse uscito un figlio dal grembo di Metis allora a lui sarebbe toccata la stessa sorte del padre Crono, essere detronizzato per mano del figlio. Ma Metis era incinta e dopo nove mesi Atena doveva pur nascere, da brava figlia di sua madre trova una comoda via d’uscita, nasce dalla testa di Zeus. Questo è già indicativo di quanto Atena sia furba, intelligente, sì, anche cazzimmosa. Questa particolare dea è nipote del potentissimo Poseidone, il dio del mare, eppure allo zio da un sacco di filo da torcere. Poseidone è colui che ha inventato il cavallo, imprevedibile e indomabile? Atena fornisce agli uomini il morso e le briglie, il potere di domare il cavallo. Poseidone è il dio del mare che può annientare con un’onda un’intera flotta? Atena starà vicino al timoniere per aiutarlo a scansare quell’onda. Una soluzione per gli uomini la trova sempre, basta esserle caro, ovviamente. Pensate ai poveri troiani. Hanno resistito per dieci anni agli achei, sono sopravvissuti al terribile Achille, ma a un certo punto a Ulisse viene in mente l’idea del cavallo e quella disgraziata di Atena spiega al falegname Epeo come costruirlo. Se Priamo il re di Troia potesse prendere un caffè direbbe, indovinate un po’? Questa è cazzimma. Ma Atena ha un’altra caratteristica veramente interessante, si traveste sempre in maniera diversa. Certo, gli dei dei greci non si presentavano mai ai mortali nelle loro vesti divine, ma il caso di Atena è particolare: sa sempre qual è l’outfit giusto per le sue missioni. Insomma è un’ingannatrice, agisce sotto mentite spoglie come quando si presenta a Telemaco nei panni del re Mente o quando appare a Ulisse come un giovanotto, o quando compare in sogno a Nausicaa fingendosi una sua cara amica per metterle una fastidiosa “pulce nell’orecchio”. Anche questa è cazzimma. Torniamo un attimo a Napoli. Per un periodo circolava un pratico e comodo travestimento per evitare di indossare la cintura di sicurezza, una t-shirt bianca con una cintura di sicurezza disegnata che sembrasse ben allacciata. Un travestimento geniale, un po’ illecito forse, ma che poteva evitare una multa. Questa è cazzimma? No. Questa è metis. Oppure il famoso e ancestrale “gioco delle tre carte” che richiedeva intelligenza, colpo d’occhio, scelta del momento propizio e soprattutto… imbroglio! Anche questa è metis.
E dunque Atena ci insegna qualcos’altro sulla cazzimma. Richiede travestimenti, oggetti semplici quanto funzionali, una certa dose di fantasia e spregiudicatezza, un animo un po’ sovversivo. Se Atena è la metis in cielo, il suo prediletto, Ulisse è la metis, pardon, cazzimma, in terra. (Di Ulisse ha già parlato più seriamente su The wam la Nostra Chiara Iacobacci)

Ulisse: quando la forza non basta
Una
volta un vecchio signore nato e cresciuto a Napoli disse “La cazzimma? E’ come quando si fa il pane, davanti c’è la pagnotta e dietro la cenere e il fuoco”.
Ulisse è la rappresentazione estrema di questa metafora. Ma immaginatevelo, un
uomo di circa quarantacinque anni che viene gettato a destra e a manca, che ne
passa di ogni colore, piange, racconta a tutti la sua storia e la nostalgia di
casa, la mancanza della moglie e del figlio e… e quando torna a casa fa una
strage, in giro per il mondo va a letto con una ninfa e una maga. Ulisse, e dai, questa è cazzimma.
Ma Ulisse è qualcosa in più di un uomo buono come il pane, che però conosce
anche la cenere. Scampato alla bufera che Poseidone gli scaglia contro, grazie
all’intervento della Nereide Ino e dell’immancabile Atena, non appena giunge
sulla terra ferma si fa un giaciglio di foglie e si copre con un cespuglio e
Omero così lo descrive.
“Come chi senza vicini soggiorna
all’estremo d’un campo,
suole celare sotto la cenere negra uno stizzo,
per conservare il seme del fuoco, né altrove cercarlo:
cosi nascosto Ulisse restò tra le foglie”
Per meglio cogliere questo passaggio dobbiamo rifarci alle gesta di Prometeo, colui
che donò il fuoco agli uomini, anche lui un cazzimmoso non indifferente, dotato
di metis, che donò agli uomini oltre che il fuoco proprio un tizzone ardente.
Ulisse è la metis, è quel tizzone ardente che si conserva sotto le foglie. Inoltre,
per rendere le cose più chiare, Omero lo
definisce “polùmetis”, colui che ha molta metis. I suoi tranelli sono
famosissimi, il più famoso è senz’altro quello del cavallo. Ulisse però è molto
più di questo: è innanzitutto un ottimo bugiardo, bravo con le parole, ancor
più bravo a travestirsi e cambiare identità, addirittura in grado di perdere la
sua identità dandosi il nome di Nessuno. E’ un uomo dalle mille sfaccettature, proprio come deve essere l’eroe dotato di
metis, dall’ingegno variopinto,
attributo che ben si addice alla metis. E’ Atena stessa che gli concede il
titolo di più cazzimmoso tra gli uomini
“Scaltro sarebbe davvero chi ti superasse
nelle tue astuzie, anche se fossi un dio. O uomo tenace, mai sazio di inganni,
neppure adesso che sei nella tua terra vuoi rinunciare alla bugie, alle
invenzioni che ti sono care. Ma ora finiamola, entrambi sappiamo essere astuti,
tu fra tutti gli uomini sei il migliore per la parola e i pensieri, e io fra
tuti gli dei sono famosa per intelligenza e saggezza. “
Dunque questo eroe straordinario non per la forza, ma per l’intelligenza, per
la capacità di dire parole suadenti. Ulisse è lo sventurato per eccellenza, che
deve cavarsela contando su quello che ha e che è, un uomo straordinariamente
dotato di intelligenza pratica e astuta, sapere quando darsi e quando celarsi,
tutto per aver salva la pelle e il ritorno e non è molto diverso da chi, magari, in una realtà difficile o in un
momento complesso aguzza l’ingegno e furbescamente si fa beffa dell’autorità. C’è
di più.
Con la metis o ci nasci o non ce l’hai, la cazzimma puoi apprenderla. La cazzimma è una sorta di istinto di autoconservazione, un colpo di
stiletto non in un punto proibito, ma quasi. Una malizia che può essere a volte
bonaria, buona come il pane, oppure scura come la cenere. Ulisse non è solo l’eroe
della Metis, ma anche l’eroe della cazzimma perché ha dovuto imparare anche
a essere cenere, a essere cattivo per proprio tornaconto e per ristabilire lo
status quo, il suo potere di re.


Efesto: cornuto sì, mazziato no.
Efesto, il dio-fabbro, brutto e zoppo. Sposato con la più
bella delle dee: Afrodite. Afrodite però se la intende con Ares, dio della guerra:
forte, possente, atletico, invincibile in battaglia, un maschio alpha. Insomma,
il solo bello ma stupido. Efesto è zoppo, anzi ha “l’andatura di un granchio” e
le sue mani sembrano chele. Il granchio è un animale simbolo di metis, perché
non in grado di camminare dritto, dunque
in grado di muoversi diversamente, capaci di stare sia sul mare che sulla terra
ferma, dunque capaci di trasformarsi. Un animale particolare, così com’è la
metis, che quando si procaccia il cibo resta fermo e lascia che le sue chele, improvvisamente, stringano la preda.
Ecco. Efesto fa una cosa esattamente uguale a quella che fa il granchio, solo
che anziché delle chele usa magiche reti. Afrodite e Ares, come abbiamo detto
se la intendono, Efesto lo viene a sapere e tende loro, da bravo cazzimmoso, una trappola. Finge di andare via per
qualche giorno, aspetta il momento in cui Ares corre nel letto di Afrodite e
sul più bello ecco che cadono delle reti sottili e indistruttibili, che
stringono i due amanti, legandoli come salami. Inutile dire quali sono state le
parole di Ares: questa è cazzimma.
La rete, il legare stretto, la trappola sono
gli ultimi elementi della metis. Questo tipo di intelligenza è repentina, gioca
su un terreno sempre diverso, multiforme e l’unico modo per avere la meglio su
questo contesto sono proprio la sorpresa della trappola, la rete che tiene
stretto per evitare un cambio di forma.
Efesto è l’ultimo dei cazzimmosi, quello che utilizza la sua metis per prendersi
una piccola vendetta piena di cazzimma e per sfuggire al detto, tanto verace, “cornuto
e mazziato”.

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