Facebook e Instagram potrebbero dire addio all’Europa, anche presto. La decisione finale dipende da quello che stabilirà il commissario irlandese per la protezione dei dati che vuole imporre alla società di Manlo Park il divieto di condivisione dei dati con gli Stati Uniti. Una possibilità che è diventata molto probabile dopo una sentenza della Corte di giustizia europea del luglio scorso che ha accertato l’insufficienza di garanzie contro lo spionaggio delle agenzie di intelligence statunitensi. Non proprio una questione da poco.
Senza trasferimento dei dati addio Europa
Il consulente legale di Facebook è stato esplicito davanti al giudici del tribunale di Dublino: l’eventuale applicazione del divieto metterà la società nella incapacità di operare. E quindi: addio Europa per Instagram e Facebook.
«Nel caso in cui Facebook – ha dichiarato infatti Yvonne Cunnane – fosse soggetto a una sospensione completa del trasferimento dei dati degli utenti negli Stati Uniti, non è chiaro come, in quelle circostanza, sia Facebook, sia Instagram possano continuare a fornire i loro servizi all’Unione Europea».
La minaccia dell’azienda americana
A voi sembra una minaccia? Molti la pensano così. Al punto che un portavoce dell’azienda di Zuckerberg ha dovuto precisare che lasciare l’Europa è solo una conseguenza «non una minaccia».
Sta di fatto che se il braccio di ferro non trova soluzione i due social americani potrebbero essere disattivati nel Vecchio Continente.
Danni alle imprese europee
«I documenti legali depositati presso l’alta corte irlandese – scrivono gli avvocati del big data – affermano la semplice realtà che Facebook e molte altre aziende, organizzazioni e servizi, si affidano ai trasferimenti di dati tra l’Ue e gli Stati Uniti per gestire i servizi. In assenza di questi trasferimenti di dati internazionali sicuri, protetti e legali si danneggerebbe l’economia ostacolando la crescita di imprese europee».
Una battaglia legale lunga dieci anni
Questa battaglia legale va avanti da un decennio. E’ iniziata nel 2011, quando Max Schrems, un avvocato austriaco ha presentato denunce al commissario irlandese per la protezione dei dati, sulle violazioni della privacy commesse dal social network.
I guai del programma Prism
Queste denunce sono rimaste un po’ nel cassetto per due anni, fino a quando una inchiesta giornalistica pubblicata dal Guardian ha rivelato l’esistenza del programma Prism della Nsa. Ovvero, una estesa operazione di sorveglianza dell’intelligence americana che prevede tra l’altro l’accesso diretto ai sistemi di Google, Facebook, Apple e altre società statunitensi del web.
Quell’indagine ha poi convinto Schrems a presentare un nuovo esposto per violazione della privacy che è finito direttamente alla Corte di Giustizia europea.
La sorveglianza Usa sui cittadini europei
E’ stata proprio la Corte di Giustizia europea, cinque anni fa, ad decretare che – a causa dell’esistenza di Prism – l’accordo “Safe Harbor” con le società statunitensi per il trasferimento in Usa dei dati dei cittadini europei non era più valido.
A questo punto l’Ue ha provato a sottoscrivere un nuovo accordo legale sul trasferimento dei dati. che prevedeva uno scudo per la tutela della privacy. Un accordo che a luglio è stato invalidato. Motivo: gli Stati Uniti non hanno limitato la loro sorveglianza sui cittadini dell’Unione europea. E in questi giorni, il commissario irlandese ha avviato il processo che dovrebbe garantire l’applicazione di quella sentenza.
Cosa causa il blocco del trasferimento dei dati
I giudici irlandesi hanno già emesso un ordine preliminare che obbliga Facebook a sospendere il trasferimento dei dati dell’azienda. Una decisione che ha spinto Nick Clegg, responsabile degli affari e delle comunicazioni globali dell’azienda, a pubblicare un post nel quale afferma che «i trasferimento internazionali dei dati sono alla base dell’economia globale e supportano molti dei servizi fondamentali per la nostra vita quotidiana».
Clegg ha anche spiegato cosa potrebbe provocare quel blocco: «Può accadere che una piccola start-up tecnologica in Germania non sarà più in grado di utilizzare un provider con sede negli Stati Uniti, o che una società spagnola non potrebbe essere più in grado di eseguire una operazione su più fusi orari o ancora che un rivenditore francese potrebbe scoprire di non essere più capace di gestire un call center in Marocco».
Regole per un trattamento coerente dei dati
Il post di Clegg si chiudeva con una esortazione: «Supportiamo regole globali che possano garantire un trattamento coerente dei dati in tutto il mondo».
Una esortazione che evidentemente è caduta nel vuoto. Al punto che l’azienda si è dovuta spingere a formulare la non minaccia: con l’applicazione di quella sentenza addio Facebook e Instagram in Europa.
Una cosa è certa, quel braccio di ferro iniziato dieci anni fa sembra avviato alle fasi conclusive. E chissà, potrebbe anche portare a conseguenze clamorose. Mentre anche Google è nel mirino, questa volta delle autorità americane, per la posizione dominante nei motori di ricerca e la pubblicità online.
Tempi duri per i big data.
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