In pensione a 63 anni, ma solo con il sistema contributivo. La proposta è stata ribadita ieri dal presidente dell’Inps nell’atteso rapporto annuale alla Camera sui dati dell’istituto del presidente Pasquale Tridico.
Non è una novità. La posizione del dirigente Inps è nota, e ha trovato anche qualche sponda nel governo: riduce di molto l’età pensionabile, c’è una attenzione per le persone più fragili e tra quelle proposte è la riforma meno onerosa per le casse dello Stato.
Ma è una riforma osteggiata in modo radicale dai sindacati, che propongono il pensionamento con 41 anni di contribuzione (senza limiti di età). L’altra proposta sul tavolo è la pensione a 64 anni con 36 di contributi.
In pensione a 63 anni, i costi
La questione è nei costi.
La riforma delle pensioni proposta dal sindacato è decisamente la più costosa (si muove nel solco di Quota 100).
Peserà sulle casse dello Stato 4,3 miliardi nel 2022, arrivando a 9,2 miliardi a fine decennio. Ossia, come ha spiegato Tridico, lo 0,4% del Prodotto interno lordo.
Andare invece in pensione a 64 anni con 36 di contributi, costa meno: 1,2 miliardi subito con un picco di 4,7 miliardi nel 2027.

In pensione a 63 anni: i costi
In pensione a 63 anni, la proposta di Tridico, è quella meno pesante per il bilancio dello Stato: 500 milioni nel 2022, con un picco, che si toccherà nel 2029, di 2,4 miliardi.
Le ultime due proposte sono ritenute più eque dal punto di vista intergenerazionale. In pratica: sono un po’ penalizzanti per chi va in pensione ora (soprattutto rispetto a un passato anche prossimo), ma garantiscono la tenuta del sistema e quindi anche i trattamenti pensionistici per le generazioni future. Non è un discorso da sottovalutare.
Il presidente dell’Inps ritiene non sia giusto al momento avere un’età pensionabile uguale per tutti i tipi di lavori. «I cittadini con le pensioni più basse e che vivono meno a lungo finanziano i cittadini con le pensioni più alte e che vivono più a lungo».
Vivono più a lungo, ha spiegato Tridico, anche perché «hanno fatto lavori meno pesanti».
In pensione a 63 anni, il vero problema è l’invecchiamento demografico
Ma a gravare come un macigno sui conti dell’Inps – a prescindere dall’andare in pensione a 63 anni o da qualsiasi altra riforma -, in particolare in prospettiva futura, è l’invecchiamento demografico.
È necessario – ha spiegato Tridico – favorire la natalità», ma anche sostenere l’occupazione giovanile e femminile, la regolarizzazione degli immigrati (che diventerebbero così contribuenti), aumentare la lotta al lavoro nero.
Quota 100 ha favorito le fasce più forti
Il presidente dell’Inps ritiene che fino a oggi le misure per aumentare la flessibilità in uscita, le pensioni anticipate, abbiamo favorito le fasce più forti, lasciando indietro, ancora una volta chi già era svantaggiato. È un attacco in particolare a Quota 100, la misura bandiera della Lega, che però si è dimostrata fallimentare.
«Quota 100 ha permesso il pensionamento anticipato di 180mila uomini e 73mila donne nel biennio 2019-2020. La misura è stata utilizzata prevalentemente da uomini con redditi medio alti e con una incidenza maggiore nel settore pubblico».

Quota 100, nessun ricambio generazionale
Ma non solo. «Rispetto agli impatti occupazionali attraverso la sostituzione dei pensionati in Quota 100 con lavoratori giovani – ha aggiunto Tridico -, un’analisi condotta su dati di impresa non mostra evidenza chiara di uno stimolo a maggiori assunzioni derivante dall’anticipo pensionistico».
La diciamo semplice: si è sostenuto che Quota 100 nonostante i costi gravosi per lo Stato avesse però dato un enorme beneficio al ricambio generazionale con l’assunzione di molti giovani. Non è andata così.
Andare in pensione a 63 anni, nella proposta di Tridico, potrebbe essere invece uno strumento forze più adatto a chi non appartiene alle cosiddette fasce forti.
Il Reddito di Cittadinanza non ha creato lavoro
Pasquale Tridico è anche uno dei promotori del Reddito di Cittadinanza voluto dal Movimento 5 Stelle, ma ha ammesso che l’introduzione di quella misura ha parzialmente fallito. In particolare per quanto riguarda l’occupazione (al netto delle difficoltà causate dalla pandemia, come per Quota 100, del resto).
«I due terzi dei 3,7 milioni di beneficiari del Reddito di Cittadinanza – ha dichiarato Tridico -, di cui un quarto minori, non risultano presenti negli archivi degli estratti conto contributivi negli anni 2018-2019, sono quindi distanti dal mercato del lavoro e forse non immediatamente rioccupabili».
In pratica, il Reddito di Cittadinanza, ha dato sostegno a chi è in difficoltà, si è anche rivelato uno strumento indispensabile in questa fase di emergenza sanitaria, ma non ha funzionato sul fronte della reintroduzione sul mercato del lavoro.
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