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Opzione donna 2023, resta come prima: uscita a 58 anni

Opzione donna 2023, tutto come prima: ripristinati i vecchi criteri per almeno sei, otto mesi.

di The Wam

Dicembre 2022

Opzione donna 2023, tutto come prima: il governo dopo un lungo balletto ha deciso di non cambiare la misura. L’uscita sarà a 58 anni per le lavoratrici dipendenti, 59 per le autonome, con 35 anni di contribuzione. (scopri le ultime notizie e poi leggi su Telegram tutte le news sulle pensioni e sulla previdenza. Ricevi ogni giorno sul cellulare gli ultimi aggiornamenti su bonus, lavoro e finanza personale: entra nel gruppo WhatsApp, nel gruppo Telegram e nel gruppo Facebook. Scrivi su Instagram tutte le tue domande. Guarda le video guide gratuite sui bonus sul canale Youtube. Per continuare a leggere l’articolo da telefonino tocca su «Continua a leggere» dopo l’immagine di seguito).

Ti ricordiamo che abbiamo anche scritto un approfondimento sull’aumento delle pensioni minime a mille euro promesso da Berlusconi, per verificare quanto c’è di vero.

INDICE

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Opzione donna 2023, proroga a tempo

Opzione donna non cambia e resterà in vigore con i vecchi criteri per almeno sette, otto mesi. Tutti i tentativi di modificare l’uscita anticipata si sono rivelati fallimentari. L’ultimo in particolare, quello che aveva ridotto la platea delle beneficiarie. Un taglio così consistente che – come hanno fatto notare all’esecutivo i sindacati – avrebbe ridotto a meno di 3mila il numero di donne con i requisiti necessari per accedere alla misura.  In termini di previdenza nazionale quasi zero.

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Ma non solo: il tentativo di modifica della misura si era in precedenza inceppato anche sulla possibilità di elevare l’età a 60 anni prevedendo una premialità per le lavoratrici con figli. C’era qualche dubbio di incostituzionalità e una palese discriminazione per le donne che non hanno avuto figli.

Quindi, tutto resta come prima.

Su questo argomento potrebbe interessarti verificare come il governo voleva allargare la platea, dopo aver provato a imporre una misura che interessava solo determinate categorie di lavoratrici e anche come avrebbe dovuto funzionare il criterio figli che potrebbe essere una costante per le misure che saranno adottate con la futura riforma della previdenza.

Opzione donna 2023,  la modifica fallita

L’ultima modifica proposta dal governo prevedeva l’accesso a Opzione donna solo per le persone con una invalidità al 74%, le caregiver che assistono familiari con disabilità grave (da almeno sei mesi), le disoccupate e le dipendenti delle aziende in stato di crisi. L’età  di uscita era stata portata a 60 anni (sempre con 35 anni di contribuzione), con uno sconto di un anno per chi ha un figlio e di due per chi ha due o più figli.

L’esecutivo è apparso convinto su questa nuova formulazione di Opzione donna 2023 fino a quando non si è fatto un calcolo sul numero effettivo di lavoratrici che avrebbero potuto avere, sulla base dei requisiti, a questa uscita anticipata: una forbice che oscilla tra 2.900 e 870.

Forse non era mai stata adottata una misura pensionistica utile a un così ristretto numero di persone.

La marcia indietro è stata inevitabile. È stata invece confermata la proroga senza modifiche dell’Ape sociale.

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Opzione donna 2023, la soluzione

Il governo ha provato un nuovo aggiustamento in corsa, con il rischio concreto di incorrere però in un altro fallimento. La scelta è stata dunque di lasciare tutto com’era (uscita a 58/59 anni con 35 di contribuzione) per almeno 6, 8 mesi. Si esclude al momento la possibilità che resti in vigore per tutto l’anno. Il motivo? avrebbe un costo di 110 milioni, una cifra che il governo al momento non prevede di spendere per Opzione donna.

Nel frattempo, da qui a giugno, luglio del 2023 il governo conta di approvare una riforma complessiva e strutturale del sistema pensionistico e quindi di andare oltre l’attuale Opzione donna.

Sarà possibile riscrivere in questi mesi una riforma complessiva della previdenza sociale? L’impresa è difficile, ma non impossibile. Il governo Draghi è andato vicino a realizzarla, poi si è bloccato il processo dopo lo scoppio della guerra in Ucraina e il conseguente aumento esponenziale dei costi dell’energia e dell’inflazione.

Si parte da due presupposti:

Due obiettivi che sembrano in contrasto. Anche per questo la discussione non è semplice.

Opzione donna 2023, braccio di ferro con i sindacati

Che la discussione non sia semplice (anzi, il confronto si preannuncia molto aspro), lo dimostra anche la tensione alta tra il governo e i sindacati.

Per il Ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, la riforma della previdenza deve essere coraggiosa e guardare in particolare i giovani.

La Cgil ritiene dal suo punto di vista che l’esecutivo non deve trattare «i pensionati come bancomat» e ha annunciato per il 16 dicembre una manifestazione di piazza dei pensionati.

Il riferimento dei sindacati riguarda in particolare il taglio delle indicizzazioni per gli assegni pensionistici che superano i 2.100 euro lordi.

Ma su quel punto l’esecutivo non farà marcia indietro. Il taglio delle rivalutazioni comporta infatti la riduzione della spesa di 10,2  miliardi in tre anni. Per fare un metro di paragone: la nuova Quota 103 (62 anni e 41 di contribuzione) e l’incremento delle pensioni minime, costano insieme poco più di 3,4 miliardi.

Giorgetti è andato oltre e ai sindacati ha spiegato: «È vero, prendiamo ricorse alla previdenza, ma per metterle sulla famiglia, sui figli, perché senza figli non ci sarà riforma delle pensioni che sia sostenibile».

Opzione donna 2023, resta come prima: uscita a 58 anni

Opzione donna 2023, la crisi della previdenza

Un confronto difficile, dunque. Anche perché la scommessa di «più figli» resta appunto una scommessa. Del resto è evidente a tutti che le famiglie con migliori condizioni economiche sono anche quelle che hanno meno figli.

Mentre dall’altro lato ci sono le esigenze di lavoratori che chiedono dopo una vita di lavoro una uscita equa e anticipata rispetto a quanto prevede la legge Fornero (67 anni).

Nel frattempo il tema della sostenibilità è maledettamente concreto: con il calo della nascita ci saranno sempre meno lavoratori a versare contributi, la conseguenza potrebbe essere un crack del sistema previdenziale.

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