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“Quasi amici”: grazie a Philippe Pozzo di Borgo, ma serve fare di più

La narrazione di "Quasi Amici", film cult sulla disabilità, è sbagliata. La storia di Philippe Pozzo di Borgo è stata comunque una scintilla.

3' di lettura

Chi mi segue con più attenzione conosce il mio progetto “Film Disabilità”, che da tempo non aggiorno ma che tornerà presto ad arricchirsi. E nel mio progetto non può certo mancare uno dei titoli più celebri sul tema, inserito giustamente tra le prime recensioni che potete leggere.Quasi amici” rappresenta da sempre amore e odio per me.

Ha portato il tema della disabilità a un numero incredibile di persone, permettendo loro di familiarizzare con aspetti anche crudi rendendoli pop (e di questo non gliene faccio certo una colpa), al tempo stesso però mettendo in atto una romanticizzazione che poco fa bene all’inclusione e alla sensibilizzazione più vere, cioè quelle che parlano di realtà autentiche e non certo privilegiate (che sono invece la minoranza della minoranza) come quella che rappresenta la quotidianità del protagonista del film.

Comunque sia, quando il dibattito è guidato dalla testa e non dalla pancia, sono sicuro che si debba sempre e soltanto ringraziare certe “scintille” se permettono, a chi vuole davvero stare dalla parte utile alla causa, di discutere e confrontarsi, di mettersi in discussione e approfondire, magari proprio ascoltando chi fa parte delle comunità tirate in causa.

Per questo oggi, nel bene e nel male, dovremmo ringraziare Philippe Pozzo di Borgo, nobile e aristocratico uomo d’affari scomparso da pochi giorni a 72 anni, che ha ispirato “Quasi Amici”, pellicola uscita nel 2011 e diventata subito uno dei più grandi successi cinematografici francesi. Perché no, non è vero che vale il “purché se ne parli”, ma vale sempre il “purché se ne parli in modo corretto, anche quando la narrazione è sbagliata”, e quella della storia di Pozzo di Borgo sbagliata lo è eccome. Ma senza di essa, oggi, non saremmo qui a ricordare che trovare un assistente domiciliare non è affatto scontato, e che potersi permettere un sostegno ventiquattr’ore per sette giorni alla settimana è un lusso per poche persone con disabilità. Anzi per pochissime.

Philippe Pozzo di Borgo, con i suoi – non – problemi, ci rammenta che la libertà per una persona con disabilità ha un prezzo elevatissimo ed è ad appannaggio di una cerchia ristretta di disabili. E che se vogliamo che la sua fortuna sia la fortuna di tante e di tanti, allora dovremmo iniziare a fare qualcosa di concreto. Ma davvero. Senza lasciarsi distrarre dal sentimentalismo risvegliato da questa storia. Perché di Philippe, purtroppo, ce n’è stato uno soltanto, ma speriamo ce ne potranno essere molti altri.

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