Un cambiamento storico per il reddito di cittadinanza 2021. Da tempo si parla di slegare il sussidio dall’obbligo di trovare un lavoro. Magari, dividerlo in due componenti: uno strumento di contrasto alla povertà e un Rdc utile nella ricerca di un’occupazione.
Ora la Corte dei Conti si è spinta oltre. Con la memoria del 9 aprile, relativa al Decreto Sostegni, i giudici hanno bocciato il sistema delle politiche attive applicato al sussidio. Vediamo cosa significa e perché può essere una svolta decisiva. (Scarica la memoria della Corte dei Conti)
Reddito di cittadinanza: gli obblighi
Il reddito di cittadinanza, introdotto dal Decreto legge numero 4 del 2019, ha vincolato l’erogazione di un sussidio mensile fino a 780 euro all’impegno di cercare un lavoro. Di fatto sovrapponendo due strade differenti: il contrasto alla povertà e la necessità di sviluppare un percorso virtuoso che porti i cittadini a realizzarsi, trovando dei lavori che siano dignitosi.
Un sistema di diritti e doveri nel quale si sono innestate figure come i navigator e i centri dell’impiego. I dati, come vedremo nel paragrafo successivo, certificano un pesante fallimento.
Il fallimento del Patto per il Lavoro
A novembre Mimmo Parisi, direttore ANPAL, ha fornito delle cifre emblematiche: su 1369779 beneficiari del reddito di cittadinanza, solo 192.851 hanno un rapporto di lavoro attivo. Poco più del 7% (7,10).
Su cento persone in una stanza, insomma, solo in 7 sono riuscite a trovare un’occupazione.
Un corto-circuito solo in parte imputabile al sistema organizzativo dei centri dell’impiego. C’è, infatti, un’altra verità messa in rilievo dalla Corte dei Conti: molti dei percettori del reddito di cittadinanza non sono occupabili.
Quando un lavoratore è occupabile?
Con il termine occupabilità, come ricorda il sito Lavoroediritti.com, ci si riferisce alla capacità delle persone di muoversi agilmente nel mercato del lavoro. Una forma di autonomia che consente di cambiare più volte posizione in un settore o muoversi fra diversi ambiti, traendone perfino dei vantaggi.
Un obiettivo che, per essere raggiunto, richiede il possesso di qualifiche tecniche e psi-attitudinali con un approccio flessibile e pro-attivo. Si tratta di doti acquisibili, ma solo con percorsi specifici.
Come è cambiato il mondo del lavoro
Inoltre, c’è un’altra evidenza ribadita dalla multinazionale di consulenza strategica Gartner . Ecco i cinque profili lavorativi che faranno la differenza nei prossimi anni: digital business designer e architect, data scientist, enterprise architect, chief digital officer e cloud architect.
Si tratta di figure iper-specializzate. Intorno a loro si consolideranno settori ormai in espansione: si pensi alle vendite online, alla tutela e alla gestione dei dati, alla ricerca scientifica mediante l’intelligenza artificiale.
Un mondo completamente nuovo che richiede strumenti altrettanto nuovi. Altrimenti si rischia un’esclusione non solo dal tessuto lavorativo, ma perfino da quello sociale.
Una simile scenario impone di reinventare il tipo di formazione applicata alle politiche attive del lavoro, di riconvertire molte risorse, di elevare la qualità dei settori lavorativi tradizionali.
Un percorso che, per tornare a chi percepisce il reddito di cittadinanza, non si può esaurire in diciotto mesi. E non può certo essere imposto con la prospettiva di togliere un sussidio vitale a milioni di famiglie se non ci riescono.

Dal reddito di cittadinanza al reddito universale?
La memoria della Corte dei Conti può allora rappresentare un primo passo verso una necessità più volte menzionata dall’Unione Europea. Quella di potenziare il servizio di welfare nazionale, introducendo il reddito universale. Una misura di sostegno da garantire a tutte quelle risorse oggi inoccupabili e in stato di indigenza, senza vincolare quell’aiuto alla ricerca di un lavoro.
Per farlo bisognerà rendere l’accesso al reddito di cittadinanza più selettivo. Dividere chi realmente è in stato di indigenza e inoccupabile, da chi può affrontare la ricerca di un lavoro. Figure che hanno bisogno di essere sostenute in modo differente. L’idea degli incentivi per avviare un’attività è un primo passo, ma non basta.
Fallire la sfida, però, significa confinare milioni di persone in un limbo di incertezza perenne. Condannarle a una insicurezza esistenziale, che finirà per bloccarne l’evoluzione professionale e danneggiarne irrimediabilmente la vita.
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