Revoca della pensione d’invalidità dopo una condanna? Per una legge sì, la condanna pesa come uno statuto d’indegnità, ma la Corte Costituzionale non la pensa allo stesso modo. (scopri le ultime notizie su bonus, Rem, Rdc e assegno unico. Leggi su Telegram tutte le news su Invalidità e Legge 104. Ricevi ogni giorno sul cellulare gli ultimi aggiornamenti su bonus, lavoro e finanza personale: entra nel gruppo WhatsApp, nel gruppo Telegram e nel gruppo Facebook. Scrivi su Instagram tutte le tue domande. Guarda le video guide gratuite sui bonus sul canale Youtube. Per continuare a leggere l’articolo da telefonino tocca su «Continua a leggere» dopo l’immagine di seguito).
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Vediamo in questo articolo cosa può accadere a una persona che riceve la pensione d’invalidità o un qualsiasi trattamento assistenziale quando viene condannato in via definitiva. E cioè se viene disposta anche la revoca del sostegno economico.
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Revoca della pensione d’invalidità dopo una condanna: cosa dice la legge
E dunque, c’è una norma di legge, l’articolo 2 comma 61 della legge numero 92 del 28 giugno 2012, che dispone per chi ha commesso reati di terrorismo, associazione mafiosa (e tutti i reati connessi, come scambio elettorale, strage e sequestro di persona, omicidio) l’applicazione di una «sanzione accessoria della revoca delle seguenti prestazioni, comunque denominate in base alla legislazione vigente, di cui il condannato sia eventualmente titolare: indennità di disoccupazione, assegno sociale, pensione sociale e pensione per gli invalidi civili. Con la medesima sentenza il giudice dispone anche la revoca dei trattamenti previdenziali a carico degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza, ovvero di forme sostitutive, esclusive ed esonerative delle stesse, erogati al condannato, nel caso in cui accerti, o sia stato già accertato con sentenza in altro procedimento giurisdizionale, che questi abbiano origine, in tutto o in parte, da un rapporto di lavoro fittizio a copertura di attività illecite connesse a taluno dei reati di cui al primo periodo».
In questo modo il legislatore ha decretato l’istituzione di una statuto d’indegnità per chi ha commesso dei reati di particolare allarme sociale.
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Revoca della pensione d’invalidità dopo una condanna: la censura di due tribunali
Ma quella norma è stata censurata da due tribunali che hanno chiesto alla Consulta di valutarne la legittimità costituzionale.
Il primo è stato il tribunale di Fermo. I magistrati hanno sostenuto che quella norma di legge viola gli articoli 3, 25 e 38 della Costituzione.
Ve li ricordiamo:
- articolo 3: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese;
- articolo 25: Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge;
- articolo 38: Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.
Revoca della pensione d’invalidità dopo una condanna: violata la Costituzione
Secondo i giudici del tribunale di Fermo, la normativa viola l’articolo 3, perché dispone la revoca dei benefici assistenziali e previdenziali per i condannati per reati di particolare gravità senza prevedere nessuna deroga per i collaboratori di giustizia.
Viola l’articolo 25 perché istituisce una sanzione amministrativa accessoria alla condanna penale che non potrebbe essere applicata in modo retroattivo.
Viola l’articolo 38 perché impone l’applicazione della revoca dei trattamenti assistenziali senza distinguere tra detenuti e persone ammesse ai regimi alternativi (come la detenzione domiciliare), privando in questo modo il condannato dell’unico mezzo di sussistenza riconosciutogli dall’ordinamento.
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Revoca della pensione d’invalidità dopo una condanna: lo statuto d’indegnità
I giudici del tribunale di Roma hanno riscontrato violazioni degli articoli 2 e 38 (come i colleghi di Fermo), ma anche dell’articolo 2.
Vi ricordiamo cosa dice l’articolo 2 della nostra Costituzione:
«La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».
E l’articolo 2 viene violato quando la norma di legge impone all’Inps la revoca dell’assegno sociale senza valutare le condizioni personali ed economiche del condannato che sconta la pena in un regime di detenzione alternativo al carcere (domiciliari) e in questo modo non rispetta i diritti inviolabili della persona: come quello dell’alimentazione e quindi della vita.
Perché, hanno continuato i giudici del tribunale di Roma, se la revoca del trattamento assistenziale mentre il detenuto sconta la pena in carcere non comporta il rischio di essere privato dei beni di sussistenza, la privazione dell’assistenza diventa invece un pregiudizio notevole per chi è ai domiciliari.
I magistrati capitolini hanno ritenuto che «la società non può tollerare che al proprio interno vi siano (e per scelta di legge e non per contingenze di fatto) persone che debbano restare prive del minimo vitale mettendo in pericolo la sopravvivenza del condannato».
Revoca della pensione d’invalidità dopo una condanna: la decisione della Consulta
La Corte Costituzionale ha riconosciuto che lo “statuto d’indegnità” definito dal legislatore mette in pericolo la vita dignitosa del condannato, privandolo del minimo vitale. La Consulta, così come proposto dai giudici di primo grado, ha anche riconosciuto la violazione degli articoli 2, 3 e 38, che sono alla base del diritto di assistenza, quando il condannato non è detenuto in carcere ma sconta la pena ai domiciliari o con un altro regime alternativo.
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I giudici della Consulta hanno ricordato il principio di solidarietà che è stato fissato dall’articolo 38 della Costituzione, quando prevede che ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere abbia diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. La legge può limitare questo diritto, ma sempre rispettando criteri di ragionevolezza e senza determinare delle discriminazioni.
Ma è proprio la ragionevolezza ad essere messa in discussione, quando si priva dei mezzi di sussistenza un cittadino che deve scontare la pena in un regime alternativo al carcere.
Sulla base di questo ragionamento la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l’articolo 2 comma 61 della legge numero 92 del 2012, e proprio nella parte in cui si dispone la revoca delle misure assistenziali per i condannati che scontano la pena in un regime diverso da quello carcerario.

Revoca della pensione d’invalidità dopo una condanna: conclusione
E quindi, le persone condannate in via definitiva per reati di gravità sociale (come quelli riportati nell’articolo 2 comma 58 delle legge 92 del 2012), non possono essere private dei trattamenti assistenziali se scontano la pena in un regime diverso da quello carcerario.
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