La riforma delle pensioni proposta dal ministro dell’Economia, Daniele Franco, penalizza in modo consistente i cittadini nati tra il 1960 e 1961. Parliamo di Quota 102 (2022) e Quota 104 (2023). Una proposta spiazzante, perché molto severa e al momento non prevede aperture né per opzione donna (che non dovrebbe essere approvata) e neppure, anche questa è una sorpresa, per l’ampliamento della lista dei lavori gravosi che possono accedere all’Ape Sociale.
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Il governo ha deciso di stanziare sulla riforma delle pensioni (che di fatto non c’è stata), solo 600 milioni per il prossimo anno e anche meno per quello successivo. Briciole. Almeno rispetto a quanto si era lasciato immaginare.
Riforma delle pensioni: la beffa per chi ha oggi 61 anni
I provvedimenti proposti dal ministro azzerano per tanti cittadini la possibilità di accedere alla pensione anticipata nei prossimi anni. Nel 2022 la finestra d’uscita con la pensione anticipata sarà aperta solo per poche decine di migliaia di lavoratori.
Chi esce peggio da questa proposta sono i lavoratori che hanno 61, 62 anni e 37 anni di contributi.
Con Quota 100 avrebbero potuto andare in pensione già dal prossimo anno (nel caso fosse stata prorogata la misura, che ricordiamo scade il 31 gennaio).
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Riforma delle pensioni: Quota 102 e Quota 104
Cosa accade invece con Quota 102 (64+38) e Quota 104 (66+38)? Invece di uscire nel 2022 o nel 2023, dovranno aspettare il 2026 per lasciare il lavoro. Ovvero per raggiungere la normale pensione di vecchiaia o di anzianità.
Il salto è dovuto soprattutto a Quota 104, un limite che rischia di bloccare molti lavoratori per altri 5 anni.
Riforma delle pensioni: lo Stato risparmia
Le casse dello Stato risparmiano circa due miliardi, risorse che saranno spese per estendere l’elenco dei lavori gravosi inclusi nell’Ape Sociale e l’uscita con il contratto di espansione. Che sono gli altri due sistemi per la pensione anticipata.
Al momento, comunque, con la soppressione di Quota 100 e l’introduzione delle due chance di uscita (Quota 102 e Quota 104), non si evita il tanto temuto scalone di 5 anni.
Due conti.

Riforma delle pensioni: le differenze per età
Con Quota 102 (nel 2022), potranno tagliare il traguardo della pensione le persone che sono nate nel 1958. Nel 2023 sarà la volta di chi è nato nel 1959 (e ha 38 di contributi).
Non potrà invece andarsene chi è nato nel 1960, anche se ha 41 anni di contributi.
Ma anche tra i nati nel 1959, potranno accedere alla pensione solo quelli che hanno almeno 38 anni di contributi. E quindi hanno iniziato a lavorare, senza interruzioni, a 25 anni.
Quanti sono? Pochi, non più di 50mila persone in due anni.
Riforma delle pensioni: l’alternativa Quota 103
Esiste una alternativa? Se ne sta discutendo, una sorta di Quota 103 che consente l’uscita a chi ha 64 anni e 39 di contributi.
Non sarebbe neppure una novità, è già prevista un’uscita con questi requisiti per i lavoratori che hanno iniziano a lavorare dopo il 31 dicembre del 1995 e avranno diritto a una pensione contributiva (e non retributiva).
Andare in pensione solo con il contributivo significa anche perdere qualcosa nell’assegno mensile.
Non è ancora possibile stabilire quanto questa soluzione alternativa costi per le casse dello Stato.

Riforma delle pensioni: la proposta Inps
Rispetto a tutte le proposte in campo, alle risorse a disposizione, prende corpo quella che è stata proposta dal presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, che però non piace né alla Lega (sostenitori di Quota 100) e neppure ai sindacati (che propongono 41 anni di contribuiti e pensione a qualsiasi età).
Il dirigente dell’ente di previdenza ha avanzato l’ipotesi di una uscita anticipata a 63/64 anni, con una penalizzazione fino ai 67 anni.
Funziona così: i lavoratori del sistema misto (contributivo/retributivo), andranno in pensione con un importo che è uguale alla quota contributiva maturata in quel momento. La prestazione verrà poi adeguata quando si compiranno 67 anni, cioè l’età che consente di raggiungere la pensione di vecchiaia (con la Legge Fornero).
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