Salario minimo, cosa significa e se conviene

Salario minimo, cosa significa e se conviene: vediamo nel dettaglio cosa dice la normativa e gli effetti sui lavoratori. In Italia il dibattito è aperto: bisogna superare le resistenze di imprese e sindacati e di una giungla incredibile di contratti. Se la direttiva europea passasse l'esame dell'Europarlamento (come è probabile) il nostro Paese avrà due anni di tempo per adeguarsi.

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Una norma che sta suscitando profonde spaccature tra i partiti di governo e che l’Unione Europea ritiene giusto sia approvata.

In Italia storicamente il salario minimo non viene ritenuto indispensabile perché è molto diffusa la contrattazione. In pratica ci sono già i contratti nazionali, quelli che vengono stipulati e aggiornati tra sindacati e imprese. Coprono l’88,9% dei lavoratori del settore privato con almeno un dipendente.

In pratica: i sindacati non sono favorevoli all’introduzione di un salario minimo perché verrebbe meno il proprio ruolo.

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Salario minimo: per chi

Ok, la premessa era d’obbligo. Ma vediamo cos’è il salario minimo e cosa significa guadagnare 9 euro lordi l’ora (che è appunto il minimo salariale proposto dalla legge in discussione).

Com’è ora la situazione in Italia:

  • sotto la soglia del salario minimo a 9 euro lordi c’è il 18,4% dei lavoratori (considerando anche la tredicesima);
  • il valore medio delle retribuzioni contrattuali si aggira tra i 12 e i 14 euro lordi orari.

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C’è dunque una fetta di lavoratori che trarrebbe giovamento dall’introduzione di un salario minimo. Potrebbe essere un aiuto importante per tutti quei lavoratori che non sono coperti da contratti. Sono una minoranza? Certo. Ma è una minoranza che deve essere tutelata. Perché è la più fragile e la più esposta.

Può rientrare in questo discorso qualsiasi lavoro dipendente o parasubordinato, i tirocinanti, i collaboratori, i lavoratori occasionali. E tutto questo a prescindere dalla categoria di appartenenza. In una parola: quella vasta marea di precariato che non riceve alcuna assistenza dai sindacati.

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Salario minimo: la giungla dei contratti

La direttiva europea non impone il salario minimo per legge (quella deve essere una scelta del nostro governo). Ma consiglia di introdurre nei contratti di lavoro i minimi salariali nei contratti nazionali di categorie.

La questione non è così semplice nel Paese delle complicazioni. Sapete quanti contratti di lavoro esistono in Italia? 935. Un’enormità. Solo 200 sono stati firmati dai sindacati ufficiali. Gli altri sono stati siglati tra le imprese e associazioni sindacati non molto rappresentativi e sono caratterizzati da accordi firmati al ribasso, a tutto vantaggio dei datori di lavoro.

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La direttiva europea non può imporre all’Italia di semplificare il quadro diminuendo la giungla dei contratti, ma fissa dei parametri: ovvero il salario minimo non può essere più basso del 50% della retribuzione media. E più o meno quel dato si aggira appunto intorno ai 9 euro l’ora.

I settori dove l’irregolarità è poù diffusa sono il lavoro domestico (58,6%) e l’agricoltura (39,7%). Sono anche i settori dove la retribuzione media è più bassa (tra 7 e 9 euro lordi l’ora).

Salario minimo: cosa succede

Vediamo cosa succede ora. La direttiva europea deve essere approvata all’unanimità dalla plenaria del Parlamento Europeo e poi dal Consiglio. Subito dopo sarà pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, da quel momento in poi gli Stati avranno due anni per adottarla.

Salario minimo: così in Europa

In Europa il salario minimo già esiste in 21 dei 27 Paese dell’Ue.

Vediamo come:

  • 13 Stati (quasi tutti dell’Europa dell’Est) hanno salari minimi al di sotto dei mille euro al mese;
  • Spagna e Slovenia hanno salati minimi tra 1.000 e 1.500 euro al mese;
  • Irlanda, Germania, Belgio, Francia, Olanda e Lussemburgo hanno salati minimi che superano i 1,500 euro.

In Europa si oscilla quindi tra un minimo (Bulgaria) di 332 euro a un massimo di 2.257 euro del Lussemburgo.

Senza salario minimo in Europa ci sono, insieme all’Italia, Danimarca, Austria, Cipro, Finlandia e Svezia.

Salario minimo: povertà lavorativa

Molti studi in Italia confermano un dato che è evidente: nel nostro Paese non è sufficiente avere un lavoro per non cadere in povertà.

Il 13,2% dei lavoratori è povero (ha difficoltà a soddisfare anche i bisogni primari). E la percentuale è destinata a crescere. Nell’elenco ci sono soprattutto lavoratori autonomi e a tempo parziale.

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L’introduzione del salario minimo è una delle condizioni (e non la sola) per contrastare la povertà lavorativa.

Salario minimo: introduzione graduale

Se l’Italia non volesse applicare subito il salario minimo potrebbe seguire lo stesso percorso che è stato adottato in Germania: prima di applicare la misura a livello nazionale, sono stati introdotti i minimi salariali in settori dove la contrattazione era più debole, così da tutelare subito quei lavoratori esposti allo sfruttamento.

Salario minimo: non aumenta la disoccupazione

Ci sono alcuni studi che evidenziano come il salario minimo possa ridurre la disoccupazione. Che è l’esatto contrario di quanto si è sostenuto in Italia per anni e che ha impedito di adottare una legge in grado di garantire a tutti i lavoratori uno stipendio dignitoso. Ovvero si è sempre immaginato che aumentando gli stipendi più bassi ci sarebbe stato un aumento della richiesta di lavoro e un minor numero di imprese in grado di pagare una retribuzione più elevata.

Ma questo conseguenza – è stato dimostrato – non esiste. Laddove il salario minimo è stato introdotto non ha provocato un aumento della disoccupazione. Addirittura nei Paesi dove è stato applicato prima il salario minimo, dopo qualche anno è stato anche aumentato. In Germania sta per essere aumentato a 12 euro l’ora.

Salario minimo: controlli

In Italia l’introduzione del salario minimo è sicuramente una buona notizia per tanti lavoratori, ma problema resta quello dei controlli. Ovvero, dopo aver introdotto la misura – se e quando avverrà – bisogna anche accertarsi che venga applicata.

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