Lo smart working è qui per restare? Come va in Italia (2023)

Uno strumento entrato a pieno titolo nella routine organizzativa delle imprese a seguito della pandemia. Di seguito i dati sullo smart working in Italia.

Valerio Pisaniello è un saggista esperto di welfare.
Conoscilo meglio

11' di lettura

In questo articolo vi mostriamo i dati sullo smart working in Italia (scopri le ultime notizie su bonus, Rem, Rdc e assegno unicoLeggi su Telegram tutte le news su Invalidità e Legge 104. Ricevi ogni giorno sul cellulare gli ultimi aggiornamenti su bonus, lavoro e finanza personale: entra nel gruppo WhatsApp, nel gruppo Telegram e nel gruppo Facebook. Scrivi su Instagram tutte le tue domande. Guarda le video guide gratuite sui bonus sul canale Youtube. Per continuare a leggere l’articolo da telefonino tocca su «Continua a leggere» dopo l’immagine di seguito).

L’Osservatorio smart working presenta i risultati della ricerca 2022, identificando trend e modalità di applicazione del lavoro agile, strumento entrato a pieno titolo nella routine organizzativa delle imprese a seguito dell’emergenza da Covid-19.

Ma, sottolinea Mariano Corso, responsabile scientifico, «è il momento di riflettere su cosa sia il “vero smart working”, che deve essere l’occasione per attuare un cambiamento più profondo, incentrato sul lavoro per obiettivi e su una digitalizzazione intelligente delle attività».

Indice

I dati sullo smart working in Italia: strumento entrato a regime 

I dati sullo smart working in Italia. Le restrizioni dovute all’emergenza sanitaria sono state eliminate e, a quasi tre anni dallo scoppio della pandemia, lo smart working continua ad essere utilizzato, seppur con modalità diverse da quelle avviate durante il lockdown

Sono circa 3,6 milioni i lavoratori da remoto, nel 2022, secondo i dati dell’Osservatorio sullo smart working della school of management Politecnico di Milano, diffusi il 20 ottobre, durante il convegno Smart Working: Il lavoro del futuro al bivio.

Quasi 500 mila in meno rispetto al 2021, concentrati soprattutto nella PA e nelle PMI, diversamente da ciò che si registra nelle grandi imprese (al 91%, mentre nel 2021 era all’81%), i cui lavoratori in smart working corrispondono alla metà del numero complessivo.

Osservando a quante giornate corrispondono le percentuali, emerge che sono 9,5 quelle in cui si lavora da remoto nelle grandi imprese e 4,5 nelle PMI, realtà in cui ancora prevale la cultura del controllo della presenza e lo smart working viene visto come una misura emergenziale. Otto sono, invece, le giornate di lavoro da remoto al mese nelle PA, dove si è passati dal 67 al 57%.

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Quante aziende usano lo smart working?

I dati sullo smart working in Italia. Tra le 1.045 aziende rispondenti nella rilevazione di settembre 2020, il 28% dichiara di utilizzare lo smart working già prima della pandemia. Tale percentuale raggiunge il 93% durante il lockdown e a settembre si colloca al 72% (una quota che a novembre risulta sostanzialmente invariata: 71%).

I dati sullo smart working in Italia: i numeri nel dettaglio

I dati sullo smart working in Italia. Lo smart working è ormai presente nel 91% delle grandi imprese italiane (era l’81% nel 2021), mediamente con 9,5 giorni di lavoro da remoto al mese e progetti che quasi sempre agiscono su tutte le leve che caratterizzano questo modello.

Una tendenza opposta si riscontra nelle PMI, in cui lo smart working è passato dal 53% al 48% delle realtà, in media per circa 4,5 giorni al mese. A frenare in queste realtà è la cultura organizzativa che privilegia il controllo della presenza e percepisce lo smart working come una soluzione di emergenza.

Rallenta anche la diffusione nella PA, che passa dal 67% al 57% degli Enti, con in media 8 giorni di lavoro da remoto al mese. In questo caso a pesare sono soprattutto le disposizioni del precedente Governo che hanno spinto a riportare in presenza la prestazione di lavoro, ma per il futuro si prevede un nuovo aumento.

I risparmi per il lavoratore:

Un lavoratore che operi due giorni a settimana da remoto risparmia in media circa 1.000 euro all’anno per effetto della diminuzione dei costi di trasporto.

Nella stessa ipotesi di due giorni alla settimana di lavoro da remoto l’aumento dei costi dei consumi domestici di luce e gas può incidere però per 400 euro l’anno riducendo il risparmio complessivo a una media di 600 euro l’anno.

I risparmi per le aziende:

Lo smart working consente una riduzione dei costi potenzialmente più significativa per le aziende. Consentire ai dipendenti di svolgere le proprie attività lavorative fuori della sede per 2 giorni a settimana permette di ottimizzare l’utilizzo degli spazi isolando aree inutilizzate e riducendo i consumi, con un risparmio potenziale di circa 500 euro l’anno per ciascuna postazione.

Se a questo si associa la decisione di ridurre gli spazi della sede del 30%, il risparmio può aumentare fino a 2.500 euro l’anno a lavoratore.

I dati sullo smart working in Italia: come sono cambiati gli spazi di lavoro

I dati sullo smart working in Italia. Secondo gli studiosi dell’Osservatorio Smart Working 2022, l’esperienza forzata del lavoro lontano dall’ufficio e la volontà di favorire il rientro, anche se parziale, delle persone nelle sedi ha accresciuto nelle organizzazioni la consapevolezza di dover realizzare azioni sugli spazi di lavoro per creare ambienti che motivino e diano un senso al lavoro in ufficio, supportando in modo efficace le attività che più si prestano a essere svolte in questo contesto.

Il 52% delle grandi imprese, il 30 % delle PMI e il 25% della PA ha già effettuato degli interventi di modifica degli ambienti o lo sta facendo in questi mesi. In prospettiva futura queste iniziative sono previste o in fase di valutazione nel 26% delle grandi imprese, nel 21% delle PA e nel 14% delle PMI.

Il ripensamento degli spazi che sappia tener conto del diverso modo di lavorare delle persone rispetto al pre-pandemia è fondamentale per favorire il rientro in ufficio che, nel 68% delle grandi imprese e nel 45% delle PA, ha incontrato resistenze da parte delle persone.

L’evoluzione futura dei modelli di smart working prevede sostanzialmente lo stesso numero di giorni da remoto di quelli attuali.

Ma si prevedono nuovi modelli di workplace – cioè riunire in un unico luogo i componenti di un team aziendale – con “spazi identitari” e finalizzati a favorire la collaborazione e l’interazione con colleghi e stakeholder prima ancora che il lavoro individuale, oltre che da una maggiore diffusione e capillarità di sedi sul territorio anche con l’utilizzo di ambienti terzi come business center e spazi di coworking – ossia la condivisione di spazi di lavoro con altre persone -.

I dati sullo smart working in Italia: la diffusione nelle PMI

I dati sullo smart working in Italia. Durante l’emergenza sanitaria il 58% delle piccole e medie imprese ha adottato lo Smart Working, o meglio un modello di lavoro a distanza in grado di assicurare la continuità di business e contemporaneamente contenere la pandemia. Nel 2022 lo Smart Working è passato dal 53% al 48% delle realtà, con una media di circa 4,5 giorni al mese. La decrescita dello sviluppo del lavoro agile nelle PMI è attribuibile alla cultura organizzativa, che privilegia il controllo della presenza e percepisce lo Smart Working come una soluzione emergenziale e limitata nel tempo.

Dall’analisi realizzata dall’Osservatorio Smart Working emerge che, sebbene il 48% del campione dichiara di adottare lo smart working, solo il 21% delle organizzazioni afferma di applicare iniziative di lavoro agile complete. Non si tratta, quindi, del solo Telelavoro, ma di interventi riguardanti diversi aspetti della progettazione del lavoro da remoto, quali flessibilità di luogo, di orario, ripensamento spazi e cultura orientata ai risultati. Infine, una parte significativa delle piccole e medie imprese intervistate dichiara di non avere interesse nell’introduzione dello Smart Working. Il 50% del campione analizzato, infatti, non lo adotta, né prevede di introdurlo nel prossimo futuro

I dati sullo smart working in Italia: la diffusione nella PA

I dati sullo smart working in Italia. Durante l’emergenza sanitaria il 94% delle PA italiane ha adottato misure di lavoro da remoto associabili allo Smart Working. Si stima che circa il 58% dei dipendenti pubblici (circa 1,85 milioni) abbia lavorato da remoto.

La spinta nel settore pubblico è avvenuta grazie ai diversi provvedimenti governativi che, durante l’emergenza sanitaria, hanno incentivato le amministrazioni a potenziare il ricorso al Lavoro Agile e a snellire le procedure di acquisto di dotazioni informatiche. Un impulso altrettanto significativo è arrivato dalla didattica a distanza che ha visto coinvolti circa 900 mila insegnanti di ogni ordine e grado.

I dati sullo smart working in Italia: gli smart worker 

Lo smart working rappresenta ormai una realtà. E non poteva essere altrimenti. L’emergenza Covid-19 ha costituito un radicale punto di svolta, tale che lo mart working è stato adottato come modalità preferibile o addirittura obbligatoria da gran parte delle aziende private e pubbliche. I lavoratori italiani si sono così trasformati nei cosiddetti “smart worker” o “lavoratori agili“, con tutti i benefici (ma anche qualche criticità) che tale status comporta.

Il lavoro da remoto ha rappresentato infatti l’unica soluzione adottabile per conciliare le limitazioni dovute all’emergenza sanitaria con la necessità di assicurare la continuità del business. Secondo i numeri dell’Osservatorio Smart Working, le persone che hanno lavorato da remoto nel 2020 sono state 6,58 milioni (praticamente 1/3 dei lavoratori dipendenti italiani).

Ad oggi, complice la fine dello stato di emergenza, i provvedimenti per il ritorno in presenza nelle pubbliche amministrazioni e il termine dello Smart Working mediante il regime semplificato nel settore privato, i lavoratori agili complessivi risultano quasi 3,6 milioni.

I dati sullo smart working in Italia: cosa significa essere smart worker?

I dati sullo smart working in Italia. Se nel 2019 contavamo poco più di circa 570.000 lavoratori agili, oggi gli smart worker sono aumentati in maniera più che esponenziale. Ma cosa vuol dire essere smart worker?

Sicuramente non possiamo limitare la definizione di smart woker a coloro che hanno lavorato (e continuano tuttora a lavorare) da casa durante l’emergenza. Lo smart working, infatti, è una pratica che va bene oltre il rigido concetto di Telelavoro o altre forme tradizionali di rapporto lavorativo a distanza.

Parliamo di una vera e propria filosofia manageriale fondata sui principi cardine di flessibilità lavorativa, autonomia dei dipendenti e responsabilizzazione dei risultati. Non è un caso, d’altronde, che lo smart working esista da molto prima dell’emergenza Covid-19.

Uno smart worker, estendendo perciò il ragionamento, può essere definito come un lavoratore agile, che gode di autonomia nella scelta delle modalità di lavoro in termini di luogo, orario e strumenti utilizzati.

I dati sullo smart working in Italia
I dati sullo smart working in Italia: nella foto un lavoratore in smart working.

I dati sullo smart working in Italia: quali effetti su engagement e benessere?

In base alla modalità di lavoro adottata, è possibile identificare tre profili di lavoratori: on-site worker, che lavorano stabilmente presso la sede di lavoro, lavoratori remote non smart, che hanno la possibilità di lavorare da remoto ma non altre forme di flessibilità, e smart worker, che hanno flessibilità sia di luogo sia oraria e lavorano secondo una logica orientata agli obiettivi.

Analizzando il benessere dei lavoratori sia dal punto di vista psicologico che relazionale, gli smart worker hanno migliori risultati sia rispetto agli on-site worker sia ai lavoratori remote non smart. Questi ultimi mostrano livelli di benessere più bassi non solo rispetto agli smart worker, ma su molte dimensioni anche rispetto ai lavoratori on-site che non hanno la possibilità di lavorare da remoto.

La sola possibilità di lavorare da remoto, se non accompagnata da un’opportuna revisione del modello organizzativo, non dà benefici ai lavoratori in termini di benessere ed engagement.

I lavoratori che manifestano i livelli più elevati di benessere sono infatti gli smart worker, tra i quali il 13% risulta pienamente ingaggiato, mentre i lavoratori remote non smart privi di flessibilità ulteriori oltre a quelle di luogo di lavoro, risultano avere minore benessere e un livello di engagement molto basso (6%), inferiore non solo ai veri smart worker, ma anche ai lavoratori on-site (12%).

Il solo lavoro da remoto, cioè, se non inserito in una cornice più ampia di flessibilità e revisione dei processi, non porta benefici né a livello personale né organizzativo, ma può invece condurre a esiti più negativi persino rispetto a chi non ha alcuna forma di flessibilità come i lavoratori on-site.

Chi ha applicato lo smart working in modo emergenziale durante la pandemia deve essere consapevole che, se tornare indietro a un modello tradizionale di lavoro on-site può risultare difficile o impopolare, fermarsi a una applicazione superficiale, senza un’evoluzione coerente del modello organizzativo e manageriale che preveda una crescita di autonomia nella gestione degli orari e nel lavoro per obiettivi, rischia di non far ottenere benefici di miglioramento di produttività e benessere, e addirittura peggiorare la situazione rispetto a una condizione tradizionale di lavoro on-site.

Fonti e materiale di approfondimento

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